venerdì 2 maggio 2014

THIS IS SALERNO MY FRIENDS

«This is Salerno» è l’ultima frase in inglese che sento. Passo la soglia ed entro nel portone del Palazzo Angrisani mentre una dozzina di studenti di varie nazionalità si affrettano a salire. Hanno lezione di italiano. Il palazzo situato in Via Roma a Salerno ospita al primo piano la sede dell’Accademia della Lingua Italiana dal 1997. In sedici anni di attività la scuola è ormai un punto di riferimento per gli stranieri che vogliono avere un soggiorno che coniughi turismo e studio.  All’interno gli ambienti sono accoglienti. Le aule non troppo grandi permettono che le lezioni si svolghino a cerchio eliminando la distanza tra professori e studenti. Rosaria, la capo segretaria, indica l’aula con un sorriso, lì mi attendono quattro studentesse per l’intervista. Solo qualche mese fa, in questa sede, fu celebrata la Giornata Europea delle Lingue. L’assenza del sindaco De Luca durante l’incontro, per impegni istituzionali, fu colmata all’ultimo dall’assessore al turismo, Enzo anche lui. L’aula anche se grande è ben illuminata dalle finestre. Da lì congelo lo sguardo per un attimo e il tramonto tinge di rosso il golfo. L’abitudine di dialogare in cerchio viene rispettata: Jadzia Bolek ingegnere di Cracivoa (Polonia), Akiko Yoshizaki  cuoca di Saitama (Giappone), Anna Kuzmina dirigente scolastico di Mosca (Russia), Nicole Blenk economista di  Nürnberg (Germania), Rosaria (Italia) e io (Albania) tutti seduti tra i banchi. «Ho scelto Salerno perché il mio ragazzo vive e lavora qui da tempo - risponde pacatamente Jadzia che incarna la nobiltà e l’eleganza del suo popolo nelle sue movenze. La prima cosa che subito ho percepito sono i rapporti con le persone. Nelle grandi città come Cracovia è difficile fare delle amicizie per strada. Qui in pochissimo tempo conosco già molti salernitani, del resto è questo il pregio delle piccole città». Akiko, venuta dal lontano oriente, dopo tre anni in costiera e a Capri spiega che la sua scelta non poteva che cadere in una città del sud, «ho fin da piccola una passione per la cucina, ma credo che solo dopo aver scoperto quella mediterranea mi considero veramente una cuoca. Differenze? Sembrerà scontato - dice sorridendo delicatamente con la voce che gli trema per la paura di aver sbagliato accento -  ma preferisco la cucina del sud. Al nord usano molta panna e burro». La moscovita Anna ha lo sguardo severo tipico delle donne russe, dirigente scolastica nella sua patria non poteva non offrire una rapida impressione sull’Accademia «nella didattica moderna è ormai superata la “distanza” con il docente, per di più quando si insegna una lingua. A dire la verità una delle cose che più apprezzo dell’Accademia è il lavoro svolto dai professori, tutti aperti e disponibili. Questo naturalmente va sommato con lo staff che accoglie ognuno di noi come in una grande famiglia multiculturale. Se dovessi dare un voto direi che un otto pieno sarebbe ben meritato». La tedesca Nicole invece non ha nulla della freddezza teutonica radicata nel nostro immaginario. Anzi è scura di carnagione, energica e solare e spiega che «per me il sud significa sole. Perciò, come puoi intuire, il clima è stato il fattore principale. La mia come quella delle colleghe è una vacanza studio e di conseguenza ho voluto scegliere Salerno. Una piccola città, quasi un paesino, tra le alture e il mare, situata in un golfo al centro di due costiere meravigliose. Confesso che tra le foto che ho visto su internet e la realtà non c’è molta differenza, tranne che per il mare. Sporco e oleoso dall’inquinamento». «Questo è vero» - conferma scuotendo la testa Jadniga. Akiko ribatte «è per questo che d’estate per farsi un bagno bisogna andare fuori dalla città e di parecchio». «E come? – domanda retoricamente Anna. I trasporti pubblici sono inesistenti». «Per uno straniero che deve stare due ore alla fermata della Sita – rincara Jadzia – è tempo sprecato. A Cracovia ci sono autobus anche la notte».  L’energica Nicole riprende «Ieri ho preso il pullman per arrivare in un centro commerciale e sono scesa dopo 40 minuti di viaggio. La fermata era in mezzo al nulla. Per non parlare dell’info-point per i turisti in città». «L’altro giorno - aggiunge Anna -  ho scoperto che sul corso Vittorio Emanuele esiste un info-point turistico, solo che fuori non c’è nessun cartello e dentro sono più le postazioni pc che il personale a cui chiedere informazioni». «Il problema -  interviene Jadzia -  non sono solo le informazioni turistiche. Chi vuole arrivare al Duomo per esempio, in un modo o nell’altro ci arriva. Il problema è che qui non c’è nessun portale on line o pubblicazione cartacea distribuita bene. Non ci sono indicazioni sulle attività per il tempo libero fatte in altre lingue». «A proposito di tempo libero - ribatte Nicole – curiosamente ho notato che nei locali qui i “gorrilla” scelgono le persone. È assurdo. L’altra sera hanno lasciato fuori dal locale una dozzina di giovani turisti. Ecco perché per noi le serate erasmus degli universitari sono l’unica alternativa, però poi non viviamo Salerno e non conosciamo i salernitani». «Secondo me Salerno non è pronta per essere una città turistica» sentenzia severamente Anna. «Eppure qui si spende poco e si mangia bene, al contrario del Giappone dove davvero si mangia male e si spende molto» racconta contrariata Akiko. «Forse sul mangiare si risparmia - dice Jadzia - ma le case sia come prezzo che come affitto sono al livello del quartiere più residenziale di Cracovia». «Salerno è un po’ chiusa con i turisti, quasi diffidente, per abitudine e per pigrizia» risponde Nicole. Infine tutte si lasciano andare ad una confidenza: a Jadzia piace la tradizione e il calore del pranzo la domenica; Anna, con il suo sguardo critico, nota la mancanza dell’Università nel centro storico; Akiko svela che adora i posti piccoli e sporchi ma dove si mangia benissimo; Nicole confessa di avere l’abitudine di andare sulla lungomare per sentire le telefonate dei passanti che parlano a voce alta, dice che è meglio delle serie tv. Ridiamo tutti. Fuori il golfo si distende nel buio. Questa è Salerno «my friends»

pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 12 dicembre 2013

giovedì 1 maggio 2014

TALENTOS DE LA CALLE

Il suo nome svela le origini greche, ma è nato e cresciuto a Salerno. Si chiama Lambros Andreou ed è un giovane salernitano che lavora da tempo nel mondo del volontariato. In città è conosciuto per il suo attivismo, l'ultima "battaglia" l'ha combattuta insieme ai ragazzi del comitato "Giù le mani dal porticciolo". Da gennaio di quest'anno è partito, come fa spesso del resto, per una missione ben più importante. Destinazione Città del Guatemala in Guatemala  dove lavora come cooperante per una Ong che si chiama Mojoca (Movimiento jovenes de la calle). Il ruolo di Lambros è quello dell'educatore per i ragazzi di strada.
«Lavoro con un gruppo di operatori che aiutano i ragazzi che vivono letteralmente in strada - spiega pacatamente - senza una fissa dimora, scappati dalle loro famiglie per causa di maltrattamenti e abusi». La maggior parte scappano piccolissimi, alcuni anche all'età di cinque anni, e formano con altri bambini gruppi che spesso sono preda delle gang (o addirittura della polizia) che li maltratta e abusa sessualmente di loro. La maggior parte dei più piccoli scompaiono senza tracce, venduti o uccisi senza scrupolo. Lambros è un fiume in piena. Il suo tono pacato ha un retrogusto d'inquietudine che odora di guerra silenziosa. La piaga più grave è la tossicodipendenza dal solvente. «Solvente?» domandiamo inorriditi. «Si solvente industriale - risponde Lambros - quello che si usa per diluire la vernice. L'altro giorno durante il nostro consueto giro per le zone più malfamate, anche se è difficile capire dov'è che inizia o finisce una zona malfamata, ci siamo trovati a "la Terminal". Il nome è stato dato perché è una delle zone dove i giovanissimi consumano di più.
Abbiamo visto un ragazzino di 13 anni che si chiama Gerson, già noto a noi del centro, che non riusciva neanche a camminare (il solvente ti buca le ossa) e si trascinava fino al semaforo per chiedere spiccioli. Aveva le mani e il volto bruciato dalle inalazioni. Abbiamo cercato di portarlo con noi ma non c'è stato nulla da fare, voleva solo farsi». Lambros si ferma, esita un attimo, segno che non ci si abitua mai anche se sono scene che si vivono quotidianamente. Guai a chiamarlo eroe, Andreou è cresciuto nelle strade di Pastena e ha scelto questo lavoro per vocazione.
«Più che stomaco qui ci vuole cuore. All'inizio ero incuriosito dall'opportunità di lavorare in "miezz a' via" in un posto lontano. Poi ho capito che questo lavoro ti porta oltre. In qualche modo sono i bambini e i giovani che ti danno più di quello che tu dai a loro. Ti insegnano a guardare il mondo con occhi diversi. La maggior parte non ha finito neanche la scuola elementare,  ma hanno delle capacità di apprendimento al di sopra di ogni previsione». Lambros e il gruppo di operatori combattono violenze e tossicodipendenza con il teatro, il rap, la produzione di quaderni, con la creazione di piccole opere d'arte in carta, accessori e oggetti per la casa, tutto rigorosamente con materiali riciclati».
Giovani come Mefi, Nataly, Graziela, Hector e Jacky quando si siedono in cerchio e ridono regalano emozioni forti. Poi c'è Byron, in recupero dopo una sparatoria dov'è rimasto ferito a una gamba. «Mi ricordo - racconta Lambros - quando abbiamo finito il cd rap e Byron fissando il cd tra le sue mani, lo guardava come per dire, per la prima volta ho fatto una cosa bella e che mi piace, era per lui la conferma del valore che porta dentro e sono sicuro che quel pezzo di plastica rotondo ha rigenerato la sua vita e l'ha cambiata in meglio». Così da quel giorno il moto del centro è diventato "Talentos de la calle". 
 

pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 24. 02. 2014